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La Congiura de' Pazzi: sangue in Duomo nella Firenze del Magnifico

Pubblicato il 17 May 2025

Un agguato in Duomo

26 aprile 1478, Firenze. Nella cattedrale di Santa Maria del Fiore una folla di fedeli assiste alla messa solenne. L’aria è pregna dell’incenso, mentre i raggi di sole filtrano dai finestroni gotici sotto la maestosa cupola del Brunelleschi. Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, è presente con suo fratello minore Giuliano. Tra la gente si aggirano anche membri dell’antica famiglia Pazzi e i loro alleati, apparentemente devoti ma dal cuore colmo di odio e timore. Nessuno sospetta che, proprio in quel momento sacro dell’“elevazione” dell’ostia, sta per scatenarsi un assalto sanguinario destinato a segnare per sempre la storia di Firenze .

Al culmine della funzione, tutti si inginocchiano in preghiera. È l’istante convenuto dai congiurati. Improvvisamente un grido soffocato rompe il silenzio: «Tradimento!». Bernardo Bandini, con un pugnale affilato, si avventa alle spalle di Giuliano de’ Medici e gli affonda la lama nel petto . Giuliano ha appena il tempo di voltarsi, ferito a morte. Francesco de’ Pazzi, accecato dal furore, gli si getta addosso e lo finisce con decine di colpi, tanto che, scriverà Niccolò Machiavelli, “lo empié di ferite” al punto da ferire gravemente anche sé stesso a una gamba, tanta era la foga . Il giovane Medici stramazza al suolo in un lago di sangue.

Intanto, sul lato opposto, altri due sicari – insospettabili uomini di chiesa travolti dall’odio – estraggono le armi contro Lorenzo. Sono un certo frate Stefano da Bagnone e il prete Antonio Maffei da Volterra, reclutati all’ultimo momento. Cercano di colpire il Magnifico, ma la sorte e l’abilità di Lorenzo gli risparmiano la fine del fratello: Lorenzo para i colpi con il proprio mantello e la spada che porta con sé, riportando solo una lieve ferita al collo . Un caro amico, Francesco Nori, si frappone coraggiosamente per proteggerlo e viene trafitto a morte . Lorenzo, attonito ma lucido, vede Giuliano crollare e capisce tutto: con l’aiuto del poeta Angelo Poliziano e dei fedelissimi scudieri Lorenzo e Andrea Cavalcanti, riesce a farsi scudo tra la calca e a rifugiarsi di corsa nella sacrestia . Dietro di sé, Bandini urla di rabbia e tenta invano di raggiungerlo, ma Lorenzo è già dietro le pesanti porte di bronzo che si chiudono con un tonfo. Fuori, nella navata, regna il caos: urla, panico, e il cardinale Raffaele Riario – il giovane nipote di papa Sisto IV che stava officiando la messa – si stringe terrorizzato all’altare, ignaro fino a un attimo prima del ruolo che la congiura gli aveva ritagliato. Il suolo sacro del Duomo è profanato da grida e sangue. Firenze è sconvolta.

Retroscena di una rivalità mortale

Per comprendere questo terribile agguato, bisogna tornare indietro di qualche anno e guardare ai retroscena politici. Nella seconda metà del Quattrocento, l’Italia è divisa in fragili equilibri: da una parte stanno il papa Sisto IV e il re Ferrante d’Aragona di Napoli, dall’altra l’alleanza tra Firenze dei Medici, Milano e Venezia . Firenze, formalmente repubblica, è di fatto guidata dalla famiglia Medici. Lorenzo il Magnifico, succeduto al padre Piero nel 1469 a soli vent’anni , governa non da principe ufficiale ma tramite influenti amici nei posti chiave del governo cittadino . Amato da molti per il suo mecenatismo e la sua abilità politica, Lorenzo tuttavia attira invidie e timori. Ogni generazione dei Medici, del resto, ha affrontato complotti: il nonno Cosimo fu cacciato in esilio per un anno nel 1433, il padre Piero subì una congiura nel 1466. Nel 1478 tocca a Lorenzo e Giuliano affrontare la sfida più sanguinosa.

A contrapporsi ai Medici sono i Pazzi, antica casata fiorentina di banchieri. “Erano i Pazzi in Firenze, per ricchezze e nobiltà, di tutte l’altre famiglie splendidissimi”, testimonia Machiavelli . Il loro patriarca, messer Jacopo de’ Pazzi, è ricco, ambizioso e fiero. Cosimo de’ Medici, anni addietro, aveva persino tentato la via della parentela per placare la rivalità, facendo sposare la nipote Bianca de’ Medici con Guglielmo de’ Pazzi nella speranza di legare le famiglie . Ma non bastò: sotto la cenere della cordialità, continuavano a covare sospetti e rancori reciproci.

Le tensioni esplodono apertamente quando la posta in gioco diventa il potere e il denaro. Papa Sisto IV (Francesco della Rovere) alimenta la rivalità: nepotista sfrenato, il pontefice mira ad estendere l’influenza della sua famiglia e dei suoi nipoti, come Girolamo Riario, anche sui territori toscani . Finanziariamente, poi, Sisto IV sottrae ai Medici il prestigioso incarico di banchieri del papato per concederlo proprio ai Pazzi . Questo significa per Lorenzo perdere non solo prestigio, ma anche i profitti del commercio dell’allume, un minerale prezioso monopolizzato dallo Stato Pontificio . Lorenzo deve mandar giù il rospo, ma certamente non dimentica l’affronto. Nel frattempo i Pazzi ostentano la fiducia del Papa, ribadendo che è frutto del loro “merito commerciale” e non di intrighi – spiegazione che il Magnifico accoglie con un sorriso amaro .

Un ulteriore incidente accende gli animi nel 1477. Alla morte di Giovanni Borromei, ricchissimo suocero di Giovanni de’ Pazzi, Lorenzo fa approvare in fretta e furia una legge che, retroattivamente, nega l’eredità alle figlie femmine in mancanza di figli maschi, dirottando i beni ai parenti maschi più prossimi . Così facendo, di fatto Lorenzo scippa ai Pazzi la cospicua eredità che la moglie di Giovanni de’ Pazzi, Beatrice Borromei, avrebbe dovuto incamerare . Questo atto, percepito come un sopruso intollerabile, è la scintilla finale: i Pazzi passano dall’odio sordo all’azione.

Francesco de’ Pazzi, nipote di Jacopo, e Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa nemico giurato dei Medici, iniziano a tessere trame segrete. Ma l’idea di eliminare i Medici non resta confinata a Firenze: arriva fino a Roma, dove trova terreno fertile nella mente di Sisto IV . Il Papa, frustrato dall’opposizione fiorentina ai suoi disegni (i Medici avevano persino ostacolato la nomina di Salviati a un’altra importante cattedra ecclesiastica, preferendogli un loro parente, Rinaldo Orsini ), decide di sostenere attivamente il complotto. Si forma così un’alleanza oscura: ai Pazzi si affiancano Girolamo Riario (il nipote prediletto di Sisto IV), l’arcivescovo Salviati e persino il duca Federico da Montefeltro di Urbino, famoso capitano di ventura. Dal Regno di Napoli giunge l’appoggio di re Ferrante, desideroso di arginare l’influenza medicea e allettato dalla prospettiva di schierarsi col papa per spartirsi eventuali bottini territoriali . Anche la repubblica di Siena, rivale toscana di Firenze, offre complicità . Insomma, la congiura assume una portata nazionale: si vuole cancellare l’egemonia dei Medici a Firenze, e per farlo non si esita a colpire durante la messa, nel cuore della cristianità fiorentina, con la benedizione – letteralmente – del Papa.

La congiura prende forma

Nell’aprile 1478 tutto è pronto. I congiurati affinano il piano con cura e spietatezza. L’obiettivo è uccidere simultaneamente Lorenzo e Giuliano de’ Medici, eliminando in un solo colpo entrambi i pilastri del potere mediceo. Ma non basta: subito dopo, occorrerà impadronirsi del governo della città. Per questo, mentre alcuni si occuperanno dell’assassinio in Duomo, altri complici dovranno occupare il Palazzo della Signoria e neutralizzare le istituzioni fiorentine approfittando del caos. In quei momenti convulsi, la guida di Firenze cadrebbe nelle mani di chi saprà affermarsi col terrore: i Pazzi e i loro alleati contano di proclamare un nuovo governo filopapale. Pare che si fosse persino deciso che, una volta tolti di mezzo i Medici, la Signoria sarebbe stata affidata al conte Girolamo Riario, come “protettore” della città in nome del Papa . Firenze sarebbe insomma passata dalla padella alla brace: da una signoria occulta medicea a un dominio aperto dei rivali sostenuti dal Papa.

La data prescelta per l’azione è la domenica 26 aprile, durante la messa in Duomo. Ma in realtà i congiurati avevano inizialmente pensato di agire il giorno prima, sabato 25 aprile, in un’occasione più intima: un banchetto che Lorenzo e Giuliano avevano organizzato nella loro villa di Fiesole . L’evento era un pranzo in onore proprio del cardinale Raffaele Riario, nipote diciottenne di Sisto IV recentemente elevato alla porpora, invitato a Firenze forse con l’inganno di una celebrazione. L’idea era di avvelenare i due Medici versando il veleno nei calici al momento opportuno . Jacopo de’ Pazzi e Girolamo Riario stessi si erano incaricati di questo infame compito, approfittando del clima conviviale e della parentela tra le famiglie per non destare sospetti . Quel sabato, tuttavia, il destino sventa il complotto all’ultimo momento:Giuliano, lamentando un malessere improvviso (forse una lieve malattia alla gamba), non si presenta al banchetto . Senza la presenza di una delle due vittime designate, i congiurati preferiscono rimandare: la preda deve essere colpita insieme al fratello, o Lorenzo, l’anima politica della città, potrebbe sopravvivere e vendicarsi.

Sfuma così il piano A, ma i congiurati non demordono. La domenica seguente offre un’altra opportunità, forse ancor più audace: colpire in pubblico, in chiesa. Raffaele Riario, il giovane cardinale, ignaro del vero scopo, invita la corte medicea e i notabili alla messa solenne che lui stesso celebrerà in Duomo come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta . L’invito è accettato. Lorenzo e Giuliano confermano la loro presenza. Questa volta Giuliano, sebbene non del tutto ristabilito, non può mancare di fronte a un principe della Chiesa. Così, quella mattina, Francesco de’ Pazzi e Bernardo Bandini – incaricati di eliminare Giuliano – vanno personalmente a prelevarlo a casa, lusingandolo e incalzandolo perché venga in cattedrale . Durante il tragitto, in un gesto di falsa affettuosità, lo abbracciano e lo stringono più volte, in realtà per tastare sotto le sue vesti la presenza di una cotta di maglia o di armi nascoste . Giuliano, ingenuo, ricambia i sorrisi: non indossa alcuna protezione quel giorno, complice la gamba ancora dolente che gli ha fatto lasciare a casa il solito farsetto di maglia e perfino il suo coltello da difesa, scherzosamente chiamato “il gentile” . I congiurati si scambiano occhiate d’intesa: il giovane Medici è vulnerabile.

Nel frattempo, in Duomo, Lorenzo è giunto con il suo seguito e attende l’inizio della messa ignaro del destino in agguato. All’ultimo momento, però, uno dei principali sicari ha un ripensamento: Giovanni Battista da Montesecco, il capitano di ventura al soldo dei Pazzi incaricato di uccidere Lorenzo, rifiuta di compiere un omicidio in chiesa. Questo tagliagole esperto, che fin lì non aveva esitato a sporcare le mani, di fronte alla prospettiva di assassinare un uomo durante la funzione sacra è preso da scrupoli religiosi o forse da paura: si sfila dalla missione, gettando i complici nello scompiglio . Il momento è troppo vicino per rinunciare; Francesco de’ Pazzi risolve rapidamente: ingaggia due religiosi per sostituire Montesecco. Stefano da Bagnone, un frate, e Antonio Maffei da Volterra, vicario apostolico, accettano di macchiarsi del delitto sacrilego – segno che l’odio politico ha ormai corrotto ogni freno morale.

Tutto è dunque predisposto. Al Duomo la messa ha inizio, celebrata dal cardinale Riario. Lorenzo e Giuliano sono presenti, circondati sia da amici fedeli sia da falsi amici pronti a tradire. Gli assassini designati prendono posto accanto ai bersagli: accanto a Lorenzo si posizionano i due finti pii (Stefano e Maffei), accanto a Giuliano si muovono furtivi Francesco de’ Pazzi e Bernardo Bandini . Al segnale convenuto – il momento solenne in cui il cardinale alza l’ostia – scoppia la violenza brutale, come abbiamo visto all’inizio.

“Palle, palle!”: la furia di Firenze

Il grido d’allarme e il frastuono nel Duomo si propagano velocemente per la città. Fuori dalla cattedrale, le campane suonano a stormo – campane sciolte, come dicono i cronisti – diffondendo il segnale di tumulto . Nelle strade attorno al Duomo, la gente accorre e presto si sparge la notizia: “Hanno ucciso Giuliano! Hanno ferito Lorenzo!”. Un’onda di sdegno e rabbia monta tra i fiorentini, fedeli in gran parte ai Medici. Jacopo de’ Pazzi, il vecchio capo della congiura, pensava che il popolo si sarebbe sollevato contro la “tirannia” medicea; credeva che bastasse gridare “Libertà!” per infiammare i cittadini contro Lorenzo. Salta a cavallo con un manipolo di uomini armati e galoppa verso Piazza della Signoria, urlando “Libertà, libertà!” a squarciagola . Ma la scena che lo attende è l’opposto dei suoi sogni: invece di trovare sostegno, Jacopo viene sommerso da urla di odio. La folla, lungi dallo schierarsi coi Pazzi, li identifica immediatamente come traditori e si lancia contro di loro. Invece di acclamazioni, per Jacopo arrivano bastonate.

Frattanto, dentro il Palazzo della Signoria un altro dramma si è consumato. L’arcivescovo Francesco Salviati, complice principale dei Pazzi, aveva il compito di occupare il palazzo del governo. Con alcuni uomini armati, Salviati aveva cercato di sorprendere il Gonfaloniere di Giustizia (il magistrato capo della città) approfittando della confusione. Ma il tentativo è maldestro e sfortunato: pare che il Gonfaloniere, insospettito, abbia fatto chiudere le porte e immobilizzare Salviati e i suoi sgherri con l’aiuto delle guardie. In breve, i congiurati al palazzo vengono sopraffatti. Ormai i Pazzi hanno fallito su tutta la linea: Lorenzo è vivo e asserragliato al sicuro, Giuliano è morto ma il colpo di stato non è riuscito. E ora la vendetta dei fiorentini sta per abbattersi su di loro.

In poche ore la città insorge in difesa dei Medici. “Palle, palle!” rimbomba per le vie: è il grido di guerra dei sostenitori medicei – i Palleschi – che inneggia alle sei palle dello stemma dei Medici . Bande di cittadini armati improvvisati si mettono a caccia dei congiurati fuggitivi, in una vera e propria caccia all’uomo, feroce e fulminea . Francesco de’ Pazzi, ferito nell’assalto a Giuliano, aveva cercato rifugio nella propria casa: viene stanato e trascinato fuori a forza. L’arcivescovo Salviati è già prigioniero nel Palazzo Vecchio. Il loro destino si compie subito, senza processo né esitazione: nel pomeriggio stesso Francesco de’ Pazzi e Salviati vengono impiccati dalle finestre di Palazzo della Signoria , che danno sulla piazza gremita. La scena è spaventosa: i corpi penzolano al pubblico ludibrio, Salviati ancora avvolto nelle sue vesti talari. L’ira popolare non risparmia nemmeno gli ecclesiastici traditori.

Jacopo de’ Pazzi, catturato mentre tentava la fuga, subisce un linciaggio pubblico. Nei giorni seguenti, lui e un altro membro della famiglia, Renato de’ Pazzi, che pure non risulta fra gli organizzatori della congiura, vengono giustiziati per impiccagione . Ma la furia contro Jacopo non si placa neanche dopo la morte: sepolto in tutta fretta, il suo cadavere è riesumato dalla folla inferocita, trascinato per le strade di Firenze , poi gettato in Arno da dove, si narra, alcuni ragazzi lo ripescano per fustigarlo ulteriormente – una fine macabra per il vecchio cospiratore . Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano, riesce a fuggire dalla città quel giorno, convinto forse di aver salvato la pelle. Ma non andrà lontano: scappa in Oriente, fino a Costantinopoli, sperando di sparire nell’Impero ottomano, ma perfino lì viene rintracciato. Due anni dopo, il sultano in persona – Maometto II – lo farà arrestare e consegnare a Firenze, dove sarà impiccato nel 1479 . Il genio di Leonardo da Vinci ci ha lasciato un disegno del suo cadavere penzolante , monito visibile del destino dei traditori

Nel frattempo Giovanni Battista da Montesecco, il soldato che aveva rinunciato a colpire Lorenzo in chiesa, viene catturato. Messo alle strette, confessa ogni dettaglio del complotto, facendo anche il nome del mandante più eccellente: accusa apertamente papa Sisto IV come principale ispiratore della congiura . Per questa franchezza Montesecco ottiene almeno una morte “onorevole”: invece di essere impiccato come traditore, viene decapitato come si concede ai gentiluomini, la sera del 4 maggio 1478 . Lorenzo, che pure conosceva Montesecco e ne aveva ricevuto avvertimenti nei giorni precedenti – avvertimenti purtroppo sottovalutati – assiste implacabile alla punizione.

Firenze è intrisa di violenza vendicativa. Si contano decine di arresti e esecuzioni sommarie: circa ottanta congiurati e fiancheggiatori vengono uccisi o puniti . Il Magnifico, salvo per miracolo, non fa nulla per placare la furia del popolo, anzi la lascia sfogare in toto . Potrà così affermare di non essersi macchiato di sangue personalmente, pur vedendo soddisfatta la vendetta. La repressione è totale. La famiglia Pazzi, che da secoli era parte dell’élite fiorentina, viene letteralmente spazzata via: chi non è giustiziato viene esiliato, tutti i beni dei Pazzi sono confiscati . Come atto finale, scatta una damnatio memoriae decretata dalla città: il nome Pazzi è bandito da ogni documento pubblico, cancellato perfino dalle iscrizioni e dagli stemmi scolpiti sui palazzi . Gli stemmi dei Pazzi vengono scalpellati via dai muri e perfino sulle monete coniate dal loro banco si ricorre a punzonature per rimuovere ogni traccia del simbolo pazzesco . È un tentativo di estirpare persino il ricordo di quella casata traditrice dalla storia cittadina.

 

Conseguenze: Firenze, il Papa e l’Italia dopo il complotto

La Congiura dei Pazzi fallì nel suo intento di distruggere i Medici, ma ebbe comunque conseguenze profonde – paradossalmente, finì per rafforzare Lorenzo e la sua famiglia . Nel breve termine, però, Firenze dovette affrontare gravi pericoli. Papa Sisto IV reagì furiosamente alla notizia della congiura sventata e soprattutto alla brutale uccisione del suo arcivescovo Salviati. Dal suo punto di vista, i fiorentini avevano violato ogni norma: non solo avevano osato opporsi ai piani papali, ma avevano anche giustiziato un alto prelato in saecula saeculorum. Sisto IV non poté colpire Lorenzo con i pugnali, quindi passò alle scomuniche: scomunicò Lorenzo e tutti i magistrati fiorentini coinvolti nell’esecuzione di Salviati, pretendendo la liberazione di eventuali congiurati superstiti e minacciando l’interdetto sulla città . Lorenzo, ben sapendo quanto il Papa bramasse di vederlo eliminato, non cedette.

Sisto IV allora trasformò la congiura fallita in guerra aperta. Stringe un’alleanza con il re Ferrante di Napoli e con Siena, mobilitando truppe per punire Firenze . Nel giugno 1478, mentre Firenze è ancora scossa dagli eventi, un esercito congiunto papal-napoletano invade le terre della Repubblica fiorentina . Guidati dal duca Alfonso di Calabria (figlio di Ferrante) e con la partecipazione di Federico da Montefeltro, i nemici calano in Toscana. Incendiano borghi e raccolti, conquistano città e fortezze nel Chianti – Castellina, Radda, anche Certaldo e Poggio Imperiale cadono entro l’estate . Firenze resiste con tutte le forze, ma la situazione è critica: isolata politicamente (Milano e Venezia, sue alleate, esitano a entrare in guerra aperta col Papa), la città si trova a fronteggiare da sola il papa e il re più potenti d’Italia.

In questo frangente disperato, Lorenzo de’ Medici compie un gesto audace e risolutivo, degno di un romanzo cavalleresco. Nel dicembre 1479 decide di recarsi di persona a Napoli, alla corte del suo nemico Ferrante d’Aragona. Mette a repentaglio la propria vita e posizione, imbarcandosi quasi come ostaggio volontario, pur di negoziare la pace faccia a faccia. È un colpo di teatro: Lorenzo punta tutto sul proprio carisma e sull’abilità diplomatica. Arrivato a Napoli, riesce a conquistare la stima di re Ferrante – colpendolo con il ragionamento che nessuno avrebbe da guadagnare dalla rovina di Firenze, perché romperebbe l’equilibrio italiano a vantaggio magari dei Francesi o di altri nemici comuni . Il Magnifico rimane a Napoli per mesi, trattando astutamente e persino intrecciando rapporti personali: la duchessa Ippolita Sforza, nuora del re, funge da mediatrice, ammirata dall’intelligenza di Lorenzo. Alla fine la tenacia paga: Ferrante accetta un accordo separato. Così, nel marzo 1480, si giunge alla pace: Napoli abbandona l’alleanza col Papa e cessa le ostilità . Sisto IV, rimasto senza l’alleato principale e preoccupato da nuove minacce – nell’estate 1480 i Turchi ottomani invadono la Puglia (Otranto), terrorizzando la cristianità – è costretto a fare marcia indietro. Il conflitto si chiude formalmente: Firenze ottiene di rientrare in possesso dei territori perduti, pagando però indennizzi pesanti e fornendo truppe per la crociata contro i turchi . Il Papa revoca la scomunica a Lorenzo e riammette la città nell’ovile della Chiesa.

Ironia della sorte, l’attentato che doveva distruggere Lorenzo il Magnifico ne ha invece consolidato la posizione. In patria, Lorenzo torna da Napoli accolto come salvatore della patria per aver evitato il peggio. La sua popolarità, già alta dopo lo scampato pericolo, diventa enorme: folle osannanti lo avevano salutato quando mostrò al pubblico, sul balcone di Palazzo Medici, le ferite bendate sul collo subito dopo la congiura, a testimonianza del suo coraggio e della grazia divinache l’aveva protetto. Ora, con la pace, Lorenzo può dedicarsi a ristrutturare il potere a Firenze. E lo fa con astuzia: se prima governava tramite l’influenza nascosta, adesso crea istituzioni su misura. Nel 1480 istituisce un Consiglio dei Settanta, composto in gran parte da uomini di sua fiducia, che di fatto concentra l’autorità e risponde solo a lui . Le tradizionali assemblee repubblicane vengono svuotate di potere. È il compimento della “signoria occulta” dei Medici: da fuori Firenze resta repubblica, ma dentro Lorenzo comanda senza più opposizioni interne significative. Lo storico Francesco Guicciardini osserverà che Lorenzo colse l’occasione per accentrare definitivamente il potere nelle sue mani e inaugurare un’era di governo personale, assicurando alla sua famiglia un dominio incontrastato per il decennio successivo.

Sul piano italiano e internazionale, la figura di Lorenzo esce ingigantita dagli eventi. “Lorenzo riuscì a non capitolare nemmeno nella guerra che seguì, finendo anzi per accrescere il suo prestigio presso le corti e gli Stati italiani del tempo”, scrive un biografo moderno . Infatti, dopo la pace del 1480, Lorenzo il Magnifico è riconosciuto come l’abile statista che ha saputo tenere testa al papa e a un re, e che ha salvato l’equilibrio italiano con diplomazia e intelligenza. Diviene l’ago della bilancia nella politica della penisola: tessitore di alleanze, patrono delle arti e arbitro nei conflitti tra stati regionali. Paradossalmente, la Congiura dei Pazzi – concepita per eliminarlo – gli consegna la legittimazione definitiva sia a Firenze sia oltre. Firenze gode di un periodo di stabilità e splendore culturale sotto la sua guida, mentre Lorenzo s’impegna a mantenere pace e equilibrio fra gli stati italiani (celebre sarà la sua alleanza italica del 1484-85, la “Pace di Bagnolo” dopo la guerra di Ferrara).

Epilogo: la storia diventa leggenda

La storia della Congiura dei Pazzi divenne presto leggenda nera e monito. I contemporanei ne parlarono con sgomento e dovizia di dettagli. Angelo Poliziano, che si trovava accanto a Lorenzo in Duomo ed ebbe un ruolo nel trarlo in salvo, ne scrisse la cronaca in latino (“Coniurationis Commentarium”), aprendo il suo racconto con parole memorabili: «Io mi appresto a scrivere brevemente della congiura de’ Pazzi, perché questa, sopra ogni altro fatto memorabile avvenuto nel mio tempo, intervenne, e poco mancò che non rovinasse del tutto la repubblica fiorentina» . Machiavelli, nelle sue Istorie fiorentine, narrò l’episodio nei minimi particolari, sottolineando gli errori fatali dei congiurati e le astute mosse del Magnifico. I cronisti fiorentini come Piero Parenti registrarono come la città, passata la prima tempesta di sangue, restò attonita ma unanime nel condannare i Pazzi. Perfino artisti come Sandro Botticelli parteciparono alla memoria dell’evento, dipingendo sulle mura esterne del Palazzo del Capitano (come era usanza dell’epoca) le effigi infamanti dei congiurati giustiziati o fuggiti, perché la loro infamia fosse esposta al pubblico ludibrio per sempre . Di generazione in generazione, la Congiura dei Pazzi divenne il racconto esemplare del tradimento punito: un dramma fatto di ambizione, ferocia e vendetta.

Ancora oggi, ripercorrendo le vicende di quel giorno di sangue, possiamo quasi vedere le ombre dei cospiratori tra le colonne del Duomo e immaginare il clangore delle spade, le urla della folla in Piazza della Signoria, lo stendardo mediceo sventolato in segno di vittoria. Quella domenica di Pasqua del 1478 segnò la fine cruenta di un’era di rivalità tra grandi famiglie e l’inizio della leggenda di Lorenzo il Magnifico. Firenze, ferita ma non piegata, ne uscì trasformata: più soggetta al potere mediceo, ma anche più consapevole della fragile linea che separa la fedeltà dalla cospirazione. E la Congiura dei Pazzi rimane, a distanza di secoli, una delle pagine più avvincenti della storia cittadina, in cui la realtà pare davvero superare la fantasia delle tragedie rinascimentali.

 

 

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